Alcune considerazioni sulla ventottesima edizione del Premio.

di Giacomo Vit

Come sempre, il Premio “Malattia della Vallata”di Barcis rappresenta una specie di osservatorio su quella che è la realtà della poesia italiana ancor inedita. E in effetti, come ogni anno, prima di accingersi alla lettura di quasi un migliaio di testi, nei membri della giuria sorgono alcune domande: “Ci saranno delle voci poetiche nuove?”, “Quanto incideranno nelle composizioni le problematiche del nostro tempo (migranti, disoccupazione, terrorismo)?”, “E i dialettali? Si adegueranno anche loro al tempo che muta le prospettive, o si chiuderanno, imperterriti, nella loro isola linguistica, a mo’ di trincea sociologica?” E allora, dopo aver letto attentamente tutti i testi poetici, quale bilancio si può trarre dalla produzione di quest’ultima edizione? Innanzitutto si può affermare che per molti italiani la poesia rimane il mezzo espressivo preferito; chissà, forse perché i mezzi tecnici sono minimi: penna e carta, o, meglio, un computer. Ma anche perché si pensa di poter comunicare con pochi versi un contenuto importante. Purtroppo, non sempre la qualità letteraria è all’altezza delle intenzioni. Per la gran parte di chi scrive in italiano, infatti, la poesia è concepita come se fosse un insieme di pensieri da allineare uno dopo l’altro, senza essere sorretti da un’impalcatura solida, fatta di ritmo, di uso accorto delle figure retoriche, di ricerca dell’originalità. Fortunatamente, nella massa dei partecipanti si è stagliato un gruppo di concorrenti che, al contrario, si sono posti in evidenza per l’uso di una personale cifra poetica, salvando così il livello sempre notevole di questo premio. È andata meglio, nel suo insieme, ai colleghi delle lingue minoritarie e dei dialetti, in cui più ampia è stata la presenza di poeti di valore, che hanno dato lustro a questa sezione del concorso. Dal Friuli alla Sicilia, dal Veneto alla Sardegna, i partecipanti hanno offerto un interessante mosaico di suoni e pensieri. Forse è un fatto culturale, poiché i dialettali utilizzano un linguaggio che è strettamente legato alle cose che nomina, e che non può sganciarsi troppo dalla realtà,  pena lo sfociare in una sterile astrattezza. Sarà un caso se lo stesso Malattia della Vallata, cui il premio s’ispira, ha trovato nella lingua locale una profondità inarrivabile in quella italiana?