Considerazioni sulla XXXI edizione del Premio Letterario Nazionale “Giuseppe Malattia della Vallata”

 

Abbiamo atteso l’arrivo delle poesie concorrenti a questa edizione con qualche preoccupazione, poiché, riducendo il premio tradizionale a un’unica categoria, quella dialettale, era un po’ come fare un salto nel vuoto. In realtà tutto è andato bene, al di là di ogni previsione.

Cominciamo dalla quantità dei lavori. Notevole. I poeti partecipanti sono andati poco sotto i duecento, e provengono da quasi tutte le regioni italiane. I componimenti in totale, dunque, sono oltre ottocento. E la loro qualità? Molto alta, di grande fattura. Vi hanno partecipato autori noti a livello nazionale e voci nuove; autori affezionati da anni a questo premio, ma anche poeti che hanno inviato per la prima volta i loro lavori, pur avendo alle spalle un ragguardevole curriculum.

Quasi tutti i principali dialetti o lingue della minoranza parlate in Italia sono stati rappresentati, al punto che il lavoro della giuria non è stato facile. Almeno una ventina gli autori che avrebbero meritato un riconoscimento, ma la serietà del concorso, tenendo fermi i principi del compianto Pierluigi Cappello, ha fatto sì che i premi si limitassero a tre, con alcune segnalazioni.

Le tematiche affrontate in questa edizione del premio sono state le più disparate, da quelle agganciate alla realtà di ogni giorno, con tutte le problematiche connesse, a quelle più intime risalenti alla sfera personale; da quelle in cui gli oggetti quotidiani diventano simboli che rimandano a qualcos’altro, a quelle in cui la dimensione astratta ne condiziona anche la cifra stilistica.

Sono anni che si decreta la fine dei dialetti, ma il concorso “Giuseppe Malattia della Vallata”, al contrario, è una prova concreta della loro vitalità, poiché fra i suoi partecipantisi trovano anche dei giovani, che affidano alla parlata materna le loro riflessioni e la loro carica espressiva.

La Giuria del Premio

 

Barcis, 6 luglio 2018